Non so bene quando ho cominciato a farlo davvero, forse quando ho capito che pulire i pennelli era parte integrante dell’opera. O forse quando ho venduto il primo quadro e ho pensato: tutto qui?
Eppure eccomi, a raccontarti come dipingere un quadro e venderlo. Due imprese, una più ostica dell’altra. La seconda, spesso, molto più della prima.
Uso la tecnica a olio su tela, per scelta (e per testardaggine). Il motivo? Il colore resta vivo, vibra nel tempo, non si accontenta di asciugarsi in fretta. Come me.
L’olio non perdona, ma regala profondità, luce, e un certo margine d’errore che sa di umanità. I passaggi base ci sono, li conosci anche tu: preparazione della tela (o l’acquisto della tela già pronta, se non hai tempo da perdere con la colla di coniglio), disegno preparatorio (facoltativo, per chi ama i brividi), e poi via, si parte con i primi strati.
Uso spesso la tecnica del gras su maigre — cioè grasso su magro — un principio cardine della pittura a olio: prima i colori meno ricchi di olio, poi quelli più carichi. Tradotto: pazienza.
Bisogna lasciar asciugare ogni passaggio, o rischi crepe, pasticci, e insulti interiori. Ogni tanto rompo le regole, ma solo quando so che sto tradendo a fin di bene. Come certi amori.
I miei consigli per chi vuole iniziare a dipingere un quadro a olio? Tre:
Non abbiate fretta. L’olio è un’amante lenta ma intensa.
Imparate a conoscere i pigmenti, come si comportano, come si odiano e si amano tra loro.
Non lasciate che il quadro vi comandi, ma nemmeno imporgli un’idea che non vuole. È una danza, non una catena di montaggio.
Ora, vendere il quadro. Qui si entra nel campo minato.
Hai finito l’opera. La guardi. Ti convince (più o meno). Hai anche messo la tua bella firma in basso a destra (o sinistra, se sei un bastian contrario). E adesso?
E adesso si passa al mondo parallelo della vendita di quadri online, dove l’algoritmo conta più del gesto pittorico. Ma non scoraggiarti. Anche questo si impara.
I portali per artisti abbondano: Etsy, Saatchi Art, Artfinder… e poi ci sono i social, che non vanno mai in ferie. Mostrare il processo, raccontare la genesi del quadro, fare vedere il retro (sì, anche quello) crea connessione. E fiducia.
Altro aspetto fondamentale: la descrizione. Devi scrivere due righe che raccontino l’opera. Non buttarti su “olio su tela, 50x70, titolo: Incompreso n.3” e via. Spiega il perché, o almeno fingi di saperlo. La gente compra anche l’intenzione, mica solo il colore.
Infine: prezzi. Tema spinoso. Ti consiglio una via di mezzo tra l’umiltà e la sopravvivenza. Né 15 euro (che è umiliante), né 15.000 (a meno che tu non sia già morto e celebrato). Valuta tempo, materiali, e il tuo curriculum invisibile. Poi alza un po’. Ci vuole coraggio anche in questo.
Il mio consiglio più sincero?
Dipingere per vendere è lecito, ma vendere per dipingere è meglio. Cioè: non snaturare il tuo linguaggio solo perché “piace quel colore lì” o “adesso va di moda l’astrazione sensoriale zen.”
Il tuo olio su tela deve essere tuo. Non copia carbone di una galleria.
In fondo, il bello dell’arte contemporanea è che puoi sbagliare tutto e trovare comunque qualcuno che se ne innamora.
E quando accade — quando qualcuno sceglie proprio quel tuo quadro, quello nato da un errore fortunato o da una notte insonne — allora capisci che vendere un quadro non è solo un atto commerciale. È una piccola vittoria dell’invisibile.
E poi sì, coi soldi ci paghi i colori. O il vino.